La pittura di Oscar Ghiglia, espressione di uno stile nel quale classico e moderno, idealmente si fondono, rappresenta un unicum nella cultura figurativa italiana degli inizi del XX Secolo. Alcuni dei critici più autorevoli dell’epoca, da Papini a Ojetti, da Pica a Cecchi e, ancora, da Soffici a de Chirico, a Carrieri, più volte si sono cimentati nel decifrarne l’intima essenza, riflesso di un inedito registro intonato a una oggettiva quanto sensibile emotività. “Originalissima non somigliante a nessun altra, che non ha punti di riferimento né coi macchiaioli toscani né con l’impressionismo francese”, sentenzierà Llewelyn Lloyd, tralasciando di citare, per rivendicarne l’assoluta singolarità, i due poli di riferimento: Fattori e Cézanne.

Nei circa cinquanta capolavori in mostra, tra solidi ritratti e domestiche interiorità, tali radici, sviluppatesi nell’inquieta atmosfera della Firenze modernista, emergono, inequivocabilmente, rivelando la seducente capacità di Ghiglia nel filtrare la vulgata di Fattori con le suggestioni secessioniste e le contaminazioni provenienti dalla Francia. Una via percorsa in solitario, condotta con assoluto rigore, alla stregua di una vocazione religiosa, del tutto in controtendenza rispetto ad altri percorsi di matrice simbolista come quelli di un Nomellini o di un Chini, per i quali l’impulsiva fibrillazione della materia è cifra espressiva.

“In Italia non c’è nulla, sono stato dappertutto. Non c’è pittura che valga. Sono stato a Venezia, negli studi. In Italia c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta”. La celebre affermazione dell’amico di gioventù, Amedeo Modigliani, del quale in mostra sono presenti due opere più celebri: L’enfant gras e Tête de femme rousse, acquista il senso di una revisione critica, in ragione del silenzio venutosi a creare attorno a Ghiglia dopo la morte, colmato, seppure con un certo ritardo, dai numerosi contributi che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, si sono susseguiti.

Riproporre oggi, una a fianco all’altra, le due personalità, equivale ad alzare il sipario su uno dei sodalizi più intriganti dell’arte moderna.